Consigli di lavoro, Lavoro, Vita in ufficio

Attenzione ai capi che non danno riscontro

Non sempre chi trova le risposte le trasmette a chi gli ha posto le le domande.

Purtroppo ho notato che molto spesso capi non propri, anche se magari della stessa Direzione, non condividono le informazioni con le persone che loro stessi sanno averne bisogno. E spesso non per malizia, ma semplicemente perché credono che ci penserà qualcun altro, magari uno dei lori collaboratori.

Ed è ancora più paradossale quando questi capi lo dicono ai nostri capi (o magari super capi), loro pari, ma poi l’informazione a noi non arriva comunque – spesso perché è detta in modo destrutturato, ad esempio al caffè e non con una mail che è agevole e intuitivo inoltrare a chi ha bisogno dell’informazione. Questo succede perché c’è sempre qualcuno che pensa che se ne occupi qualcun’altro.

Purtroppo non ci sono molte misure per risolvere del tutto il problema, bisogna semplicemente esserne coscienti e non aspettarsi che le risposte arrivino, ma andarle attivamente a cercare, evitando di farsi il sangue cattivo scoprendo che chi le aveva non ce le ha poi date.

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Assessment aziendale: le dimensioni del potenziale

Oggi ho scoperto un bello schema delle dimensioni del potenziale e relativi indicatori. Lo trovo molto interessante, perché permette a ognuno di analizzarsi rapidamente (comprendendo ciò in cui è più ferrato e in cosa deve focalizzarsi per migliorarsi) e da immediatamente un’idea di cosa ci si aspetta da persone “con potenziale”:

1. Determinazione
– energia
– gestione dell’incertezza
– iniziativa
– orientamento al risultato

2. Leadership
– assunzione di responsabilità
– proattività
– influenza
– negoziazione

3. Relazione
– ascolto
– comunicazione
– integrazione
– networking
– teamworking

4. Apertura mentale
– ampiezza di visione
– creatività
– flessibilità

Buona autoanalisi :-)!
Giulia

Consigli di lavoro, Gestione delle persone, Lavoro, Leadership, Sviluppo personale

I rischi del capo operativo: avere poco tempo per i collaboratori

Dare ascolto ai collaboratori, aiutarli a superare i propri dubbi e a progredire nel loro lavoro è una parte fondamentale del mestiere di capo, ma richiede particolarmente tempo e lucidità.

Continuiamo quindi nella disamina degli aspetti negativi di un capo troppo operativo, che ha poco tempo curare gli aspetti manageriali della sua posizione.

Essere sempre rimbalzati dal proprio capo quando si fa una domanda o si ha bisogno di un aiuto, perché il proprio lavoro, in quel momento, non è considerato urgente nel mare delle urgenze in corso, o perché semplicemente non viene reputato importante rispetto ad altre attività in corso, a lungo andare svilisce in un collaboratore la percezione di valore del proprio lavoro.

Altrettanto nocivo è sentirsi ripetere dal proprio capo che non si lavora come vuole lui o che non lo si ascolta quando chiede qualcosa. Spesso il problema dipende più dal fatto che il capo non ha il tempo di controllare il lavoro dei collaboratori e di indirizzarlo dove meglio ritiene, che dall’effettiva cocciutaggine o incompetenza dei lavoratori stessi.

Un altro rischio piuttosto grave è quello di dover bloccare un lavoro, anche per tempi lunghi e magari rischiando pure di dimenticarselo, perché si attende un ok o un controllo da parte del superiore che non riesce mai a fornirlo.

I collaboratori non possono certo interrompere continuamente il capo per ogni richiesta d’aiuto che hanno, ma non possono neanche trovarsi nella condizione di doversi costantemente arrangiare. Sta al capo la responsabilità di trovare momenti di confronto con i propri collaboratori anche per spiegare loro come, e quando, farsi dare ascolto e sviluppare delle modalità per non far accumulare gli arretrati, e attenervisi.

Non facile assolutamente!

Bye,
Giulia

Carriera, Leadership, Obiettivi, Sviluppo personale

Perché fare il capo? le motivazioni

Cosa mi motiva a voler diventare un capo? Credo sia molto importante avere chiaro in mente – e nel cuore – cosa ci spinge a lavorare sodo tutti i giorni per migliorare il proprio lavoro e anche la propria condizione lavorativa.

Dopo diversi giorni di riflessione e diversi tentativi di risposta in preparazione di un assessment aziendale, ecco quello a cui sono giunta:

• voglio avere una visione d’insieme dei progetti che seguo, non più limitata all’ambito operativo;
• voglio avere voce in capitolo e decidere in merito ai progetti che seguo;
• voglio poter contare sul contributo lavorativo di altre persone, che lavorano bene e al massimo delle loro capacità, perché – si intende – le faccio lavorare bene io.

Queste sono gli aspetti concreti che mi spingono a voler diventare capo e si riassumono, in termini più alti e “ideali”, nel desiderio di avere maggiore impatto sulla realtà che mi circonda, riuscire a raggiungere obiettivi più alti, e quindi occuparmi di cose che hanno maggiore impatto. E questo, ça va sans dire,  richiede non solo tempo ed energie che non possono essere monopolizzate da dettagli operativi, ma anche la possibilità di disporre di competenze frastagliate che difficilmente possono essere possedute da una sola persona.

E una cosa che mi motiva anche molto è quella di far lavorare bene le persone, farle appassionare al loro lavoro, e diventare un punto di riferimento per le persone che lavorano con me, non solo da un punto di vista professionale ma anche umano.

Ora resta da capire come raggiungere questi obiettivi e capacità…

Alla prossima :-),
Giulia

Consigli di lavoro, Lavoro, Rapporto cliente fornitore, Vita in ufficio

Le frasi utili sul lavoro: in caso di contrasti

Quando sul lavoro nascono contrasti è bene non prenderla sul personale. È un peccato rovinare un rapporto tra persone, tanto più se la posizione che dobbiamo difendere deriva più dal nostro ruolo che dalle nostre personali convinzioni.

Ecco quindi tre splendide frasi che sento dire spesso dai capi e che aiutano a introdurre delle ragioni di contrasto (il famoso “sì, ma…”), circoscrivendole però al piano professionale e allontanandole dall’aspetto umano e relazionale:

    •  Perdonami, ma …
    •  Non me ne volere, ma …
    •  Abbi pazienza, ma …

Buon uso :-)!
Giulia

Lavoro, Vita in ufficio

Il buon fornitore aiuta il cliente

Il buon fornitore è quello su cui sai di poter contare, che ti da retta se hai bisogno di un aiuto immediato (purché non diventi la norma), di cui ti puoi fidare quando gli chiedi di fare qualcosa.

Nel lavoro di ogni giorno e soprattutto nei periodi di superlavoro, queste caratteristiche diventano importanti quanto la qualità del prodotto finale che il fornitore è in grado di darti. Questa è una grande lezione che oggi mi ha fornito un collega.

E questa flessibilità è più spesso garantita da fornitori piccoli che da agenzie strutturate che, paradossalmente, risultano molto meno disponibili: dovendo macinare moli di lavoro più importanti e disponendo di un certo numero di persone, sono più propense a dotarsi di procedure e format da rispettare che prendono tempo e coinvolgono numerose persone. Al cliente sta valutare di chi ha bisogno per ogni singolo progetto e anche circostanza.

Bye!
Giulia

Consigli di lavoro, Vita in ufficio

Tecniche di sopravvivenza sul lavoro – parte III

Continuiamo l’esplorazione delle tecniche di sopravvivenza in ufficio:

4- informa sempre il tuo capo su tutto quello che i suoi pari grado potranno chiedergli. Il tuo capo non vorrà certo fare la brutta figura di rispondere ai suoi pari “ah questo non lo so, devo chiederlo ai miei” e sembrare impreparato o incapace di ottenere dai suoi ciò di cui ha bisogno. E tu non vorrai certo sentirti dire/urlare “voi non mi dite le cose!”. Certo il capo potrebbe assicurarsi prima di avere tutte le info di cui ha bisogno, ma non sempre lo farà.

5- coinvolgi sempre il tuo capo sui dettagli anche più operativi che però sai che stanno a cuore a lui/lei o al suo capo. Anche se a te sembra un dettaglio minore non degno dell’attenzione strategica di un capo, ma sai per esperienza (fa parte del tuo lavoro anche farti questa esperienza) che ci tiene, lui/lei direttamente o in modo ancora più importante il suo capo, fa decidere in proposito a lui/lei. Altrimenti potresti sentirti accusare di non sapere di avere un capo o di decidere per i fatti tuoi. Si potrà trattare dell’immagine per una presentazione o dell’albergo per una notte, ognuno ha i suoi gusti.

E con questo, ancora una volta, buona fortuna :-D!

Giulia

Consigli di lavoro, Lavoro, Sviluppo personale, Vita in ufficio

Aiuta il tuo capo a decidere: come fare?

Convinci coloro ai cui bisogni il tuo capo è sensibile e convincerai il tuo capo.

Quante volte succede che presentiamo al nostro capo (o supercapo) un’idea che ci sembrava geniale e che invece lui/lei accoglie freddamente – o rigetta in toto -, salvo poi ricredersi del tutto se a proporgliela è un terzo interlocutore? Quanta rabbia no? Poi però notiamo (nelle nostre sperimentazioni aziendali) che per farlo/farla decidere favorevolmente basta che siamo noi a dirgli/dirle che Tizio ha trovato quest’idea molto valida, e anzi risponderebbe proprio ai suoi bisogni.

Come possiamo allora muoverci con intelligenza affinché la nostra idea sia approvata senza farcene rubare il merito? Giochiamo d’anticipo. Scegliamo una persona all’interno dell’azienda a cui effettivamente il nostro capo, o super capo, dia retta (non certo un tizio qualsiasi quindi) e che nel contempo possa avere un interesse reale nella realizzazione della nostra idea. Ça va sans dire, deve essere una persona a cui, in termini di status, gerarchia (brutto da dire ma in aziende strutturate funziona così) o rapporti personali noi possiamo effettivamente rivolgerci.

Condividiamo l’idea con la persona in questione quando è già in uno stadio semi-lavorato (non quando è ancora in fase embrionale e quindi più facilmente rubabile, perché è meno facile capire chi effettivamente ci ha lavorato) e apportiamovi insieme le migliorie necessarie affinché entrambe le parti siano soddisfatte. Dopodiché portiamola dal nostro capo, o supercapo, spiegando bene con chi è stata condivisa l’idea e che la persona in questione ha espresso un parere favorevole. Attenzione comunque a non dare al capo l’idea di averlo sorpassato o di aver lavorato a vantaggio dell’unità o direzione della “persona in questione”.

Insomma, facilissimo! 😉

Può essere utile anche rivedere come a volte allargare il tavolo di discussione a terzi può aiutare a prendere decisioni.

Bye,
Giulia

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Quando disorganizzato è bello: andare a lavorare dove si può imparare

A volte lavorare in contesti disorganizzati può aiutare in termini di crescita professionale. Paradossalmente infatti chi lavora in organizzazioni meno strutturate si trova più facilmente nelle condizioni di sviluppare comprensione e visione d’insieme delle attività che si intersecano con quelle che è chiamato a svolgere, nonché flessibilità e rapidità di apprendimento. Capacità queste molto importanti per crescere sul lavoro.

Sviluppare queste abilità in ambienti poco strutturati concretamente può significare, nel migliore dei casi, sostituire chi si occupa di una determinata attività perché magari è troppo oberato o, nel peggiore, doversi occupare per la prima volta di un’attività di cui non si sa magari nulla perché nessuno prima in azienda ne aveva avuto bisogno.

Al contrario, svolgere un lavoro più strutturato, e magari ripetitivo, anche se ci consente magari di diventare bravissimi a farlo, rischia di essere limitante in termini di crescita professionale.

Questa è stata la rivelazione, piuttosto comica vista la dinamica, che ho avuto oggi (o meglio questa notte): ho sognato di essere assunta dall’azienda (fondata nel sogno da un mio attuale collega peraltro) con il ruolo di responsabile (evviva :-)!) di una qualche area. Dopo l’iniziale eccitazione per la nuova esperienza lavorativa e il nuovo ruolo, mi rendevo conto che, per quanto di responsabilità, il lavoro era piuttosto ripetitivo e cominciavo a rimpiangere il mio ruolo precedente (ovvero il mio attuale!) che, benché molto faticoso, riconoscevo anche nel sogno essere sempre nuovo e vario, capace di insegnarmi sempre cose nuove.

Che robe!

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Per fare il capo ci vuole tempo

Un capo troppo operativo difficilmente potrà fare bene il suo lavoro. Il buon capo deve controllare che le attività richieste siano fatte, bene, entro le tempistiche stabilite, sollecitare quando necessario, riadattare timing e carichi di lavoro se serve, farsi approvare i progetti e sbloccare le autorizzazioni, migliorare i processi, cercare nuove opportunità per la propria area, motivare e far crescere i collaboratori, e probabilmente molte altre cose.

Tutte queste cose richiedono tempo – anche solo per fare il punto su dove si era rimasti (alla faccia dell’adagio “il capo non ha un ca**o da fare”). Un capo che è fin troppo impegnato a svolgere lui stesso in prima persona una serie di incarichi operativi – perché non ha abbastanza persone o le persone che ha non sono ancora pronte a farsene carico – avrà difficoltà a far fronte alle vere incombenze del proprio ruolo, quelle peraltro che qualificano il suo lavoro e per le quali non è (non dovrebbe essere) sostituibile dagli altri.

Per questo credo che, se si vuole crescere professionalmente, una cosa essenziale sia imparare, per quanto possibile, a staccarsi dall’operatività: imparare a fare (bene) una cosa, apportarvi miglioramenti in modo da farla meglio e più rapidamente, insegnare agli altri a farla e poi passare avanti, senza rimpianti per non occuparsi più di una cosa che piaceva fare e in cui magari si riusciva bene, e piuttosto aprirsi a nuovi “orizzonti” e nuove sfide (vabbè si tratta di un termine super inflazionato nel linguaggio aziendale, ma in questo caso è particolarmente calzante), mantenendo la mente curiosa e aperta. E logicamente premunendosi di formare gli altri nei periodi non di superlavoro (quando tenersi troppi lavori per sé comporta dei rischi non trascurabili).

Non facile da farsi per chi tende ad affezionarsi molto ai lavori che svolge…

Bye,
Giulia