Consigli di lavoro, Gestione dello stress, Vita in ufficio

Attenzione alla stanchezza: ode alla pausa.

Dicono che ogni 2 ore bisognerebbe fare 20 minuti di pausa. Nella realtà della vita d’ufficio non li si fa quasi mai, a meno di non essere dei lavativi o di avere un lavoro che sollecita molto gli occhi davanti al pc.

Eppure non prendersi una pausa quando serve è uno dei nemici peggiori della produttività e della qualità del lavoro. Avete notato quanto si diventa irritabili, suscettibili e scontrosi quando si è stanchi? si risponde male per un nonnulla. 

Peggio ancora: è molto più difficile recuperare freschezza e lucidità facendo una pausa quando si è già molto stanchi. Brevi break di tanto in tanto portano via meno tempo di un’unica pausa prolungata e sono molto più efficaci.

Keep that in mind! Bye,
Giulia

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Consigli di lavoro, Gestione dello stress, Lavoro, Vita in ufficio

Tecniche di sopravvivenza sul lavoro – parte V

Continuiamo il viaggio tra i mille trucchi e accorgimenti da applicare sul lavoro, che si scoprono giorno per giorno:.

9- Il miglior modo per sbagliare è pensare di non essere pronti o di non aver fatto bene le cose. La maggior parte delle volte si è pronti e le cose sono state fatte bene, ma se non se ne è consapevoli si rischia di rovinare tutto. Bisogna avere fiducia in se stessi e nella qualità del proprio lavoro. Certamente aiuta molto imparare a presentare bene quello che si è fatto, in modo da riuscire a fare bella figura anche quando non si è al top della condizione; viceversa
bisogna evitare di presentare male quello che si è preparato con molta cura.

10- Se sei la persona in charge di qualcosa, non aver paura a prendere il comando e a chiedere, anche pretendere se necessario, le cose con fermezza: gli altri si aspettano che tu lo faccia e non lo percepiranno come un atto di arroganza, bensì come un atto dovuto di autorità e autorevolezza. Sarebbe piuttosto un rischio non farlo, e non solo perché le cose non verrebbero fatte, ma anche perché le persone si troverebbero senza una guida chiara e potrebbero pensare di poter fare quello che vogliono o di poter decidere autonomamente su determinati aspetti su cui invece non hanno alcuna autorità.

Bye,
Giulia

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Attenzione ai fornitori che si parano il sedere

Vi è mai capitato che un vostro fornitore sia andato a dire al capo del vostro capo che non può lavorare (bene) per colpa vostra? Perché non l’avete aggiornato sugli sviluppi di un progetto, non gli avete dato delle risposte o gli avete chiesto di fermarsi su una cosa perché dovevate fare dei controlli? E puntualmente il capo del vostro capo (o qualcuno anche più su) si è incazzato con voi perché siete la causa di tutto ciò senza stare a sentire cosa è veramente successo? Se sì, benvenuti nel club!

Superata la voglia di strozzare il fornitore in questione (che magari deve ancora rispondervi su un sacco di questioni, altro che ritardi vostri!), analizziamo cosa è successo. Il fornitore ha semplicemente cercato di pararsi il sedere di fronte al capo del vostro capo, un bisogno comune dopotutto.
Il capo del proprio capo (o più su) difficilmente conoscerà l’avanzamento quotidiano delle operazioni in corso, e quindi la vera versione dei fatti, e potrà dunque trovarsi spiazzato di fronte ad una tale accusa. E non amerà sentirsi dire da un esterno che dei ritardi è colpa uno dei suoi.

Come evitare quindi il patatrac?
1) informatevi bene e assiduamente (almeno nei periodi clou di un progetto) con la segreteria o un assistente del vostro capo-capo se lui/lei avrà un incontro con qualche rappresentante di quel fornitore – se è un incontro ad alti livelli non necessariamente il vostro capo capo vi informerà.
2) prima dell’incontro cercate di fargli un quadro del progetto e di aggiornarlo su problemi e ritardi in corso con quel fornitore (e anche su cosa state magari ancora attendendo delle risposte da lui/lei). A questo scopo possono aiutare le note di progetto.
3) ribadite al vostro fornitore l’obiettivo/i del progetto e la timing chiedendogli se ci sono problemi o rallentamenti e, se del caso, di parlarne prima con voi, o al massimo con il proprio capo, senza fare inutile escalation.
4) incrociate le dita e preparatevi a rispondere in modo circostanziato al proprio capo capo se alla fine dei problemi venissero comunque fuori.

Bye,
Giulia

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Il pericolo di usare le proprie capacità

Sul lavoro bisogna saper usare con giudizio le proprie capacità. Essere bravi sul lavoro non comporta necessariamente avere un buon rendimento, anzi può essere controproducente.

Essere bravi significa rischiare di trovarsi, ad un certo punto, veramente oberati di lavoro e incapaci di fare bene il proprio dovere. Se si è bravi a sbrogliare rapidamente tanto lavoro e tanti lavori diversi, più dei propri colleghi, e la cosa diventa risaputa, un numero maggiore di persone preferirà rivolgersi a voi piuttosto che agli altri, incrementando così il vostro carico di lavoro. Se poi diventate sempre più autonomi, alcune mansioni non potranno neanche più essere svolte dai vostri colleghi e quindi rimarranno sul vostro groppone e diventeranno, di fatto, di vostra responsabilità.

I rischi qui sono
1) diventare dei veri e propri colli di bottiglia, problema molto grave da un punto di vista organizzativo;
2) finire così invischiati di roba da fare da non avere la possibilità di sviluppare uno sguardo d’insieme del proprio lavoro, né tanto meno nuove capacità né possibilità di elevare il proprio lavoro;
3) avere così tante cose da sbrogliare, magari non necessariamente di propria competenza, da non riuscire a portare a termine i lavori personalmente assegnatici con conseguenti, e nonostante ci sia fatti il mazzo ragionevoli, rimproveri.
E da questi è facile poi passare ad una percezione negativa del proprio rendimento da parte dei propri superiori – che ci hanno affidato certi incarichi e non altri. In sostanza, una bella fregatura: si lavora un sacco e non si viene riconosciuti da coloro che veramente contano per la propria crescita professionale.

E allora con che criterio usare le proprie capacità per valorizzarle ma senza farsi del male? Se ci si intesta nuovi incarichi, verificare di avere, o di poter avere in un ragionevole futuro, una squadra adeguata a cui affidarli; se non c’è quella possibilità, formare i propri colleghi a farsene carico una volta che avrete elaborato, e magari standardizzato, nuovi processi per rendere più snelli certi lavori. E soprattutto non affezionarsi mai troppo ad un determinato incarico, ma accettare che sia svolto anche dai colleghi, altrimenti ci si troverà sempre a fare gli stessi lavori e a non crescere.

Detto questo…da dove devo cominciare?! Aiuto!

Giulia

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Rifiutarsi di aiutare gli altri: perché è importante sul lavoro

Crescere professionalmente significa anche rifiutarsi di aiutare (sempre) gli altri a fare il proprio lavoro. Non come gesto di presunzione o supponenza (tutti abbiamo bisogno degli altri, a qualsiasi livello) ma come modo per dare (e far riconoscere) valore al proprio lavoro. E per non affogare nel lavoro cercando di fare il proprio e anche l’altrui.

《Non fare sempre l’assistente di tutti!》, è con queste parole stizzite che la mia capa mi ha ripreso oggi al termine di una lunga telefonata in cui ho spiegato per filo e per segno ad un fornitore cosa volevamo da lui. Sono diventata piuttosto brava a rimbalzare il lavoro ai legittimi 《proprietari》, ma evidentemente non ne era ancora soddisfatta. Al di là del diverbio verbale mi ha fatto capire una cosa importante: non voglio affatto fare l’assistente di qualcuno tutta la vita!

Aiutare gli altri a fare il proprio lavoro significa essenzialmente cinque cose:
1) dare la sensazione agli altri che l’altrui lavoro sia più importante del nostro, visto che non ci facciamo troppo scrupolo di sacrificare del nostro tempo per sollevare l’altro dal fare parte del proprio;
2) 《viziare》 gli altri e creare dannose aspettative di pari disponibilità per il futuro;
3) credere, sotto sotto, che gli altri non siano in grado di fare quella parte di lavoro in autonomia;
4) in definitiva, ingolfarsi di lavoro e riuscire con più difficoltà a raggiungere i propri obiettivi, nel qual caso asserire che si è dovuto aiutare gli altri a fare il proprio lavoro non può assolutamente valere come attenuante;
5) disconoscere la validità dell’organizzazione aziendale che attribuisce diversi compiti a diverse unità proprio perché nessuno può fare tutto e anzi può diventare un collo di bottiglia.

Questo voler far tutto vi ricorda qualcosa a proposito dell’ansia?

Ciao,
Giulia

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Tecniche di sopravvivenza sul lavoro – parte II

In condizioni di stress anormale si rischia di cadere in trappole da cui, in situazioni standard, ci si guarderebbe con facilità dal finirci. Ecco perché solo essere ancora più coscienti di queste trappole può aiutarci nelle condizioni difficili: e con questa lezione, mi concedo una magra consolazione per la giornata di oggi.

Per cui continuiamo con questo elenco di cose da tenere bene a mente per sopravvivere nella giungla dell’ufficio:

3- la rapidità è auspicabile ma la fretta porta guai: se sei stanco e/o poco lucido fermati, potresti non vedere cose che normalmente ti salterebbero all’occhio, se hai un dubbio esprimilo con forza ai tuoi capi, prima che le cose partano per la tangente e diventino un problema. Meglio prendersi un’urlata perché si è stati lenti, piuttosto che un intero sciampo perché si è commesso un errore ormai irreparabile.

Chissà se avete già capito che mi sto riferendo all’organizzazione di un evento ;-)? Una delle attività di comunicazione più faticose, più rischiose e in cui più si può imparare di queste lezioni… ahimè :-(!

Ciao,
Giulia

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Tecniche di sopravvivenza sul lavoro – parte I

Qualche consiglio di sopravvivenza in ufficio che non guasta mai:

1- precedi i bisogni del tuo capo: con la sua segreteria, fissa una riunione con il tuo grande capo prima che lui/lei venga a reclamare a che punto è quel tal progetto: quando arriva puoi premurosamente dirgli “infatti, ho fissato a quell’ora così ne possiamo parlare con (la dovuta) calma”. Così a quell’ora sarai pronto e il capo non potrà farti troppo la sciampata che non sei pronto!

2- non aspettare l’ultimo minuto per dire che hai bisogno di una mano: se sei in difficoltà, alza per tempo e ben in alto la bandierina per chiedere aiuto e verifica che i tuoi capi abbiano capito che è urgente! a volte anche se lo spieghi chiaro, non ne realizzano la gravità. Magari se un tuo progetto non procede perché qualcuno non collabora, il tuo capo potrà indire una riunione interfunzionale di avanzamento o strigliare un fornitore che non collabora.

E detto questo… buona fortuna!

Ciao,
Giulia

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E tu di che ansia sei? Esempi di ansia al femminile sul posto di lavoro

Quanti tipi di ansia esistono? Forse conoscerli, e ri-conoscerli in se stessi, può aiutarci a combattere le ansie più sciocche e improduttive.

La pulce nell’orecchio me l’ha messa un bel pezzo di “osservazione partecipante” di giuliacalli sull’ansia femminile, in cui rilevava come le italiane ne soffrano più delle straniere. E alcune ansie di cui si parlava nei commenti al post erano davvero pazzesche!

Conosco molti uomini, in gamba e “paritari” nel rapporto con l’altro sesso, che si lamentano di avere seri problemi con capi donna proprio perché non sanno gestire l’ansia. Detesto queste distinzioni uomo-donna, ma devo ammettere, per mia esperienza diretta, che questa coglie un problema reale.

E quali “tipi di ansie” ho rinvenuto nelle cape con cui ho lavorato?

l’ansia di prendere decisioni: sarà giusta, sarà sbagliata? meglio aspettare l’ultimo minuto quando si è messi alle strette e bisogna per forza decidere! Non è decisamente l’approccio migliore; a volte non esistono decisioni giuste e decisioni sbagliate, e a volte è più importante il fatto di decidere che la totale giustezza del suo contenuto. Le donne tendono ad essere più perfezioniste degli uomini, e provano molto più bisogno di essere totalmente sicure prima di prendere una decisione, cosa che spesso non è davvero possibile (quanto rapidamente cambia il mondo attuale e ci scompiglia le carte in tavola?) e in certe attività la perfezione non esiste o se anche esistesse è inconoscibile per noi umani.

l’ansia di non riuscire a far tutto, che è l’altra faccia dell’ansia di voler far/controllare tutto, che nasce il più delle volte dalla convinzione che gli altri lavorino meno bene di quanto noi saremmo capaci (o meglio disponibili) a fare.

l’ansia da coscienza, che fa rimanere sempre convinte o di non aver mai fatto abbastanza o di non averlo fatto abbastanza bene e che ci sarebbero ancora tonnellate di lavoro da fare immediatamente o tonnellate di miglioramenti da apportare. L’aspetto perverso di quest’ansia è che spesso è pure una fonte di orgoglio, perché ci si convince di essere lavoratrici più diligenti e coscienziose degli altri.

l’ansia da abbandono o da scaricabarile, che viene la sera quando ci si rende conto che mentre si sta ancora sgobbando – a causa spesso dell’ansia da coscienza di cui sopra -, tutti gli altri sono già andati a casa e, dovendo/volendo invece noi rimanere a svangare lavoro ritenuto assolutamente necessario, si comincia ad accusare a destra e a manca la gente di non aver voglia di lavorare e di scaricare il barile sulle solite note che lavorano con coscienza.

E io di che ansia soffro?
• ansia da coscienza, indubitabilmente, anche se sto cercando di mandarla a quel paese, ovvero di relativizzare: se dovessi finire a brevissimo tutto quello che devo fare e farlo perfettamente servirebbe un battaglione, non una persona!

• ansia da abbandono / scaricabarile, sicuramente un po’, ma adesso la sto combattendo con tutte le mie forze, riconoscendo che se rimango la sera a lavorare fino a tardi è perché io decido di lavorare fino a tardi, non a causa di una pretesa irresponsabilità altrui; per questo se resto fino a tardi, ultimamente sono cosciente che lo faccio perché lo voglio, non perché devo a tutti i costi.

ansia da insicurezza ingiustificata: un’ansia davvero inutile, probabile genitrice dell’ansia da coscienza. Mi sono trovata ad andare nel panico convinta di non avere la situazione sotto controllo o di stupirmi esageratamente di avere invece tutto ben pianificato anche nel caso di imprevisti.

Proprio oggi ho osservato due casi di quest’ansia. Cercavo la chiavetta di lavoro per la connessione internet in trasferta e non l’ho trovata nel solito posto: mi è stato sufficiente per darla già per persa e accusare la mia presunta recente sbadataggine; quando poi non l’ho trovata nel secondo solito posto stavo per piantare la ricerca; poi mi sono fermata un attimo, ho pensato con calma dove l’avevo usata l’ultima volta e l’ho trovata immediatamente!

Caso due: rientro con un collega da una riunione e gli ricordo che entro la mattina dobbiamo risolvere una questione con un altro collega; lui a questo punto si dirige direttamente nel suo ufficio e io vado in affanno: deve lasciarmi almeno il tempo di raccogliere il materiale – dobbiamo discutere di foto, non di concetti astratti -. Rientro al volo in ufficio e mi trovo sul tavolo l’ordinato plico che mi ero preparata la sera prima con tutti i materiali di cui avevo bisogno, senza bisogno di cercarli o stamparli. E quello di cui sono più rimasta male è proprio che mi sono incredibilmente stupita di essere così organizzata, come se non avessi fiducia in me stessa!

E voi di che ansia siete :-)?

Ciao,
Giulia

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Quando fare domande? bella domanda

Meglio sembrare stupidi e fare una domanda sciocca che sperare di aver capito e combinare un casino. E mi verrebbe pure da dire: meglio sembrare tonti e chiedere massima certezza su una cosa che si è sicuri di aver capito ma per la quale sorga anche un minimo dubbio.

Più facile da dirsi che da farsi! Oggi mi sono presa una sciampata pazzesca perché non mi ero accertata di una cosa per la quale ero sicura di aver capito correttamente ma per la quale in effetti volevo proprio un confronto con la grande capa perché cominciava a puzzarmi. E probabilmente avevo anche capito correttamente ma le informazioni erano incomplete e nel frattempo la situazione era cambiata.
Solo che ho aspettato che me la chiedesse lei, dato che mi sembrava una cosa stupida da chiederle. Ma valle a spiegare quando uno è incazzato che in realtà avevo anch’io dei dubbi. Mi ero accertata di avere più informazioni da chi, direttamente sotto di lei, poteva avercele, ma non ne avevano neppure loro. Avrei dovuto chiedere direttamente a lei. Ma come riconoscere quando una cosa merita di essere chiesta a un superiore, per definizione molto impegnato etc. etc.?

Per non fare due errori uguali nello stesso giorno, in seguito ho chiesto alla mia capa diretta dei consigli su come scrivere una mail a un importante dirigente di un’altra Direzione e me ne ha dati, e parecchi, e probabilmente mi hanno salvato anche parecchio il sedere, ma sentivo che per tutto il tempo era abbastanza seccata di doversi distogliere dal proprio lavoro.

Come fai a riconoscere quando è il caso di chiedere e quando no? Forse quello di sembrare seccanti è un rischio da correre se non si vogliono bloccare i progetti e poi essere accusati (giustamente dopotutto) di non averli portati a termine… Una tecnica alternativa può essere quella di fare le domande in contesti più informali (come a pranzo) ma non tutti apprezzano e non è possibile farlo con tutti gli interlocutori. Chiedere appuntamenti formali per un confronto non sempre funziona, perché spesso vengono posticipati o annullati, e spesso di certe informazioni si ha bisogno subito.

Argg vorrei tanto qualcuno che mi desse una dritta!

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L’arte del distacco: cosa si impara dalle urlate del capo

Quando tutto sembra perduto, l’unica cosa da fare è mantenere lucidità, sangue freddo e quel sano distacco. E ci accorgeremmo così che tutto si può risolvere, probabilmente anche con meno fatica e drammi di quello che si pensava. Questo è tanto più vero sul lavoro dove – a meno di incidenti in cui qualcuno può rimanere ferito o peggio -, se qualcosa non funziona o anche un intero progetto si rivela una ciofeca, non muore nessuno, cosa che invece accade in molti altri contesti, come spesso ci racconta la cronaca.

Ecco cosa ho capito oggi! L’invito per il nostro mega evento di Parigi è in stampa, deve esserci consegnato con salti mortali dopodomani, e già siamo in super ritardo per le spedizioni, e cosa succede oggi? il nuovo capo della mia capa si fa venire la grandissima idea (salvifica dopotutto) di mostrare alla grande capa come effettivamente verrebbe fuori l’invito stampato. Cosa che si fa assolutamente sempre, e ben prima di dover mandare in stampa, ma a cui questa volta avevamo dovuto sopperire con degli scambi di file e ok via mail, dato che eravamo già strettissimi con i tempi e la grande capa non era in sede nei giorni immediatamente prima dell’ok si stampi. Ebbene? L’invito fa schifo, bisogna rifare tutto. Le prospetto che così gli inviti superfighi come li vuole lei arriveranno stampati non prima di 10 giorni (1° maggio, sabato e domenica inclusi), lei li vuole al massimo tra 6 giorni (1° maggio, sabato e domenica inclusi anche qui). Che fare? il suicidio non è contemplato.

Torno in ufficio frustrata e abbattutissima, con voce rotta spiego ai colleghi l’accaduto e blocchiamo le stampe. Lo stampatore poi non può neanche stare al telefono più di tanto, rinviamo la call al pomeriggio. È ora di andare a mangiare, colleghi di altri uffici ci invitano, e io non ho ancora chiamato l’agenzia che ci fa il bozzetto di stampa per comunicarle le modifiche da fare. Sono davvero distrutta, non ce la faremo mai mi dico, ma mando tutto a quel paese e vado a mangiare anch’io.

Risultato? Pranzando e chiacchierando mi rilasso, metto le cose in prospettiva, mi rendo conto che non è morto nessuno (!) e tornando dalla mensa chiamo l’agenzia per le modifiche. Nel pomeriggio viene lo stampatore, decidiamo con la grande capa i materiali più fighi da usare, arrivano i bozzetti corretti e….sarà tutto pronto per il giorno richiesto!

Incrociamo le dita e facciamo finta di non sapere cosa tutto ciò verrà a costare, ma la cosa si è risolta e nel pomeriggio ho avuto la lucidità di fare tutte le altre mille cose che dovevo svangare. Avessi saltato il pranzo come, nella mia agitazione, ero convinta di dover assolutamente fare, sarei rimasta con l’ansia tutto il giorno e non avrei combinato un tubo.

Direi che è stata davvero una lezione importante: grazie grande capa per la tua sfuriata ;-)!

L’unico problema è che non è davvero facile riuscire a prendersi il giusto distacco per fermarsi un attimo e mettere le cose nel loro giusto ordine. Ma è una capacità assolutamente necessaria se si vuole gestire progetti complessi.

Bye bye,
Giulia