Lavoro, Sviluppo personale

Assessment aziendale – punti di forza e di debolezza

Per un assessment aziendale che ho terminato settimana scorsa (e che mi ha tenuto lontana da questo blog, mannaggia!) mi sono preparata cercando di analizzarmi sotto diversi punti di vista. Vi condivido le analisi che ritengo più utili da replicare su se stessi.

Punti di forza
• sono molto versatile e ho un approccio multidisciplinare alle attività da svolgere;
• sono molto analitica e tendo a suddividere naturalmente le attività da fare in task, cercando di standardizzarle per renderle più veloci da compiere;
imparo rapidamente e con grande interesse;
• sono una persona energetica e appassionata e tendo a coinvolgere molto gli altri e motivarli verso il proprio lavoro;
• ho facilità di rapporto con persone molto diverse, non ho timori reverenziali verso persone di un “certo livello”, con cui peraltro ho avuto modo di interagire numerose volte (avendo studiato Scienze internazionali e diplomatiche).

Punti di debolezza
penso più di quanto agisco e vorrei sempre avere tutte le informazioni prima di agire (argg!);
• tendo ancora a preferire il lavoro (ben) fatto al raggiungimento di obiettivi, che esulino o addirittura entrino in competizione con le attività più immediate che mi vengono affidate;
• non sono ancora abbastanza imperativa con i fornitori, tendo ad essere troppo accomodante;
• non mi prendo ancora tempo a sufficienza per delegare abbastanza lavoro agli altri.

Alla prossima analisi :-)! Poi vi racconterò anche cosa ho imparato facendo l’assessment vero e proprio,  stay tuned!
Giulia

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Lavoro, Obiettivi, Sviluppo personale

Motivazione sul lavoro: cosa funziona per me?

Ognuno deve trovare la sua motivazione per impegnarsi sul lavoro. Carriera, soldi, un buon ambiente di lavoro, etc., sono solo alcune delle opzioni che le aziende, e la società in generale, ci offrono, ma non necessariamente convincono tutti — e alcuni di essi, come la carriera, possono rivelarsi effimeri e contingenti.

Il problema sta in questo fatto quasi banale: trascorriamo sul lavoro molte ore al giorno e inevitabilmente il lavoro che facciamo partecipa alla definizione della nostra identità. Ecco perché le motivazioni che ci spingono al lavoro tutti i giorni sono estremamente importanti e quanto più ne siamo consapevoli, tanto meglio viviamo.

E a me ad esempio soldi, carriera e stabilità lasciano freddina e scettica, e se dovessi lavorare solo sulla base di questi lavorerei con poca voglia e convinzione. La passione per il proprio lavoro è invece un motore ben più potente per me, ma mi sentirei quasi stupida se mi facessi il mazzo che mi sto effettivamente facendo solo per un lavoro che piace a me, ma di cui alla fine traggono vantaggio altri.

E allora che risposta mi sono data rispetto a cosa mi può davvero motivare? Voglio essere riconosciuta come qualcuno che riesce a migliorare i processi e il lavoro altrui. Può sembrare idealista e astratto, ma questa risposta mi fornisce delle linee guida di condotta piuttosto chiare e risponde alle mie attitudini e a quello che effettivamente mi piace fare e mi da soddisfazione. Che poi il riconoscimento sia qualcosa in più di una pacca sulle spalle è decisamente ben accetto! D’altronde, per com’è fatto il mio carattere, non posso certo permettermi né concedermi di lavorare solo per mangiare e avere un tetto sopra la testa.

Che fatica però!
Ciao,
Giulia

Lavoro, Obiettivi, Sviluppo personale

Perché tanto impegno sul lavoro?

Ho cominciato questo blog chiedendomi come fare orari di lavoro meno folli: risultato decisamente NON raggiunto. Vabbè, nell’ultimo mese abbiamo organizzato un grosso evento per cui me l’aspettavo di fare sempre tardi la sera, ma ora che tutto è finito, sto ancora facendo tardi… certo, abbiamo un sacco di attività da fare che sono rimaste in sospeso. Ma non sono tutte scuse?

Quello che mi preoccupa è una certa forma mentis incline a fare straordinari su straordinari e, nello stesso tempo, a sentirsi frustrata sul lavoro. Mi chiedo come mai io faccia così tanto lavoro se, dopotutto, non sono del tutto soddisfatta dalla situazione lavorativa in cui trovo. Certamente tra le due cose c’è in parte un nesso di causa effetto, ma il vero problema non sta lì.

La questione sta piuttosto nel non aver chiaro in mente cosa cerco dal mio lavoro. E se non hai chiaro in testa dove vuoi arrivare, stai sicuro che non ci arriverai mai. E da questo deriva la frustrazione. Ho sempre avuto una visione totalizzante del lavoro, lo considero una mia priorità fin da quando ero bambina, mi è sempre piaciuto impegnarmi e mi ci sono sempre dedicata con grande energia. Ma ora, sempre più spesso, mi viene da chiedermi chi me lo fa fare.

Finora avevo come obiettivo primario quello di fare un lavoro che mi piacesse e sono decisamente felice di esserci riuscita. Ma adesso? una volta raggiunta una meta, l’uomo purtroppo si stufa subito e non si sente più soddisfatto. E cosa cerco io adesso? carriera, soldi, stabilità, sfide, un buon ambiente di lavoro, altro? Ora sento di aver bisogno di fare qualcosa per me stessa, ma devo ancora affinare cosa ciò significhi davvero per me.

È importantissimo sforzarsi di aver sempre chiaro in mente cosa si vuole veramente dai propri sforzi, stando ben attenti che non siano obiettivi datici da altri e non da noi stessi. Ed essere flessibili in questa ricerca, qualora lo scenario della propria vita cambiasse. In caso contrario, il prezzo da pagare è fatto di frustrazione, senso di inadeguatezza e insoddisfazione.

Bye,
Giulia

Consigli di lavoro, Lavoro, Sviluppo personale, Vita in ufficio

Tecniche di sopravvivenza sul lavoro – parte IV

Continuiamo la serie di consigli su come cavarsela nel quotidiano lavorativo. Oggi mi concentro sul tema del come scrivere le mail ai capi e super-capi:

6- Dare la sensazione che, già in precedenza, si è pensato a tutte le eventualità e che si sta dando a chi legge giusto l’opportunità di scegliere tra una delle opzioni suggerite. È rischioso dare la sensazione che la mail che si sta scrivendo in quel momento è il frutto di un problema imprevisto a cui abbiamo bisogno di dare soluzione il prima possibile.

7- Se ci sono dei cambiamenti rispetto a quanto comunicato in precedenza, va spiegato perché, ma nel modo che ci mette in miglior luce. Vedi sopra: è meglio evitare di dare la percezione che quel cambiamento ci è stato imposto dall’esterno e farlo piuttosto invece apparire come una scelta che ci dà maggiori opportunità.

8- Dare già al capo delle opzioni tra cui scegliere, meglio ancora chiedergli giusto l’autorizzazione o meno a procedere, e non stupirsi che i capi ci chiedano come noi riteniamo sia meglio procedere.

In particolare quest’ultimo punto mi fa davvero pensare che una volta che i collaboratori sono arrivati ad un certo livello di autonomia, il compito dei capi diventi più che altro porre domande affinché i collaboratori si rispondano da soli e supervisionare che non si rispondano male.

Bye,
Giulia

Carriera, Leadership, Obiettivi, Sviluppo personale

Assessment aziendale: le dimensioni del potenziale

Oggi ho scoperto un bello schema delle dimensioni del potenziale e relativi indicatori. Lo trovo molto interessante, perché permette a ognuno di analizzarsi rapidamente (comprendendo ciò in cui è più ferrato e in cosa deve focalizzarsi per migliorarsi) e da immediatamente un’idea di cosa ci si aspetta da persone “con potenziale”:

1. Determinazione
– energia
– gestione dell’incertezza
– iniziativa
– orientamento al risultato

2. Leadership
– assunzione di responsabilità
– proattività
– influenza
– negoziazione

3. Relazione
– ascolto
– comunicazione
– integrazione
– networking
– teamworking

4. Apertura mentale
– ampiezza di visione
– creatività
– flessibilità

Buona autoanalisi :-)!
Giulia

Consigli di lavoro, Gestione delle persone, Lavoro, Leadership, Sviluppo personale

I rischi del capo operativo: avere poco tempo per i collaboratori

Dare ascolto ai collaboratori, aiutarli a superare i propri dubbi e a progredire nel loro lavoro è una parte fondamentale del mestiere di capo, ma richiede particolarmente tempo e lucidità.

Continuiamo quindi nella disamina degli aspetti negativi di un capo troppo operativo, che ha poco tempo curare gli aspetti manageriali della sua posizione.

Essere sempre rimbalzati dal proprio capo quando si fa una domanda o si ha bisogno di un aiuto, perché il proprio lavoro, in quel momento, non è considerato urgente nel mare delle urgenze in corso, o perché semplicemente non viene reputato importante rispetto ad altre attività in corso, a lungo andare svilisce in un collaboratore la percezione di valore del proprio lavoro.

Altrettanto nocivo è sentirsi ripetere dal proprio capo che non si lavora come vuole lui o che non lo si ascolta quando chiede qualcosa. Spesso il problema dipende più dal fatto che il capo non ha il tempo di controllare il lavoro dei collaboratori e di indirizzarlo dove meglio ritiene, che dall’effettiva cocciutaggine o incompetenza dei lavoratori stessi.

Un altro rischio piuttosto grave è quello di dover bloccare un lavoro, anche per tempi lunghi e magari rischiando pure di dimenticarselo, perché si attende un ok o un controllo da parte del superiore che non riesce mai a fornirlo.

I collaboratori non possono certo interrompere continuamente il capo per ogni richiesta d’aiuto che hanno, ma non possono neanche trovarsi nella condizione di doversi costantemente arrangiare. Sta al capo la responsabilità di trovare momenti di confronto con i propri collaboratori anche per spiegare loro come, e quando, farsi dare ascolto e sviluppare delle modalità per non far accumulare gli arretrati, e attenervisi.

Non facile assolutamente!

Bye,
Giulia

Carriera, Leadership, Obiettivi, Sviluppo personale

Perché fare il capo? le motivazioni

Cosa mi motiva a voler diventare un capo? Credo sia molto importante avere chiaro in mente – e nel cuore – cosa ci spinge a lavorare sodo tutti i giorni per migliorare il proprio lavoro e anche la propria condizione lavorativa.

Dopo diversi giorni di riflessione e diversi tentativi di risposta in preparazione di un assessment aziendale, ecco quello a cui sono giunta:

• voglio avere una visione d’insieme dei progetti che seguo, non più limitata all’ambito operativo;
• voglio avere voce in capitolo e decidere in merito ai progetti che seguo;
• voglio poter contare sul contributo lavorativo di altre persone, che lavorano bene e al massimo delle loro capacità, perché – si intende – le faccio lavorare bene io.

Queste sono gli aspetti concreti che mi spingono a voler diventare capo e si riassumono, in termini più alti e “ideali”, nel desiderio di avere maggiore impatto sulla realtà che mi circonda, riuscire a raggiungere obiettivi più alti, e quindi occuparmi di cose che hanno maggiore impatto. E questo, ça va sans dire,  richiede non solo tempo ed energie che non possono essere monopolizzate da dettagli operativi, ma anche la possibilità di disporre di competenze frastagliate che difficilmente possono essere possedute da una sola persona.

E una cosa che mi motiva anche molto è quella di far lavorare bene le persone, farle appassionare al loro lavoro, e diventare un punto di riferimento per le persone che lavorano con me, non solo da un punto di vista professionale ma anche umano.

Ora resta da capire come raggiungere questi obiettivi e capacità…

Alla prossima :-),
Giulia

Consigli di lavoro, Lavoro, Sviluppo personale, Vita in ufficio

Aiuta il tuo capo a decidere: come fare?

Convinci coloro ai cui bisogni il tuo capo è sensibile e convincerai il tuo capo.

Quante volte succede che presentiamo al nostro capo (o supercapo) un’idea che ci sembrava geniale e che invece lui/lei accoglie freddamente – o rigetta in toto -, salvo poi ricredersi del tutto se a proporgliela è un terzo interlocutore? Quanta rabbia no? Poi però notiamo (nelle nostre sperimentazioni aziendali) che per farlo/farla decidere favorevolmente basta che siamo noi a dirgli/dirle che Tizio ha trovato quest’idea molto valida, e anzi risponderebbe proprio ai suoi bisogni.

Come possiamo allora muoverci con intelligenza affinché la nostra idea sia approvata senza farcene rubare il merito? Giochiamo d’anticipo. Scegliamo una persona all’interno dell’azienda a cui effettivamente il nostro capo, o super capo, dia retta (non certo un tizio qualsiasi quindi) e che nel contempo possa avere un interesse reale nella realizzazione della nostra idea. Ça va sans dire, deve essere una persona a cui, in termini di status, gerarchia (brutto da dire ma in aziende strutturate funziona così) o rapporti personali noi possiamo effettivamente rivolgerci.

Condividiamo l’idea con la persona in questione quando è già in uno stadio semi-lavorato (non quando è ancora in fase embrionale e quindi più facilmente rubabile, perché è meno facile capire chi effettivamente ci ha lavorato) e apportiamovi insieme le migliorie necessarie affinché entrambe le parti siano soddisfatte. Dopodiché portiamola dal nostro capo, o supercapo, spiegando bene con chi è stata condivisa l’idea e che la persona in questione ha espresso un parere favorevole. Attenzione comunque a non dare al capo l’idea di averlo sorpassato o di aver lavorato a vantaggio dell’unità o direzione della “persona in questione”.

Insomma, facilissimo! 😉

Può essere utile anche rivedere come a volte allargare il tavolo di discussione a terzi può aiutare a prendere decisioni.

Bye,
Giulia

Lavoro, Sviluppo personale

Quando disorganizzato è bello: andare a lavorare dove si può imparare

A volte lavorare in contesti disorganizzati può aiutare in termini di crescita professionale. Paradossalmente infatti chi lavora in organizzazioni meno strutturate si trova più facilmente nelle condizioni di sviluppare comprensione e visione d’insieme delle attività che si intersecano con quelle che è chiamato a svolgere, nonché flessibilità e rapidità di apprendimento. Capacità queste molto importanti per crescere sul lavoro.

Sviluppare queste abilità in ambienti poco strutturati concretamente può significare, nel migliore dei casi, sostituire chi si occupa di una determinata attività perché magari è troppo oberato o, nel peggiore, doversi occupare per la prima volta di un’attività di cui non si sa magari nulla perché nessuno prima in azienda ne aveva avuto bisogno.

Al contrario, svolgere un lavoro più strutturato, e magari ripetitivo, anche se ci consente magari di diventare bravissimi a farlo, rischia di essere limitante in termini di crescita professionale.

Questa è stata la rivelazione, piuttosto comica vista la dinamica, che ho avuto oggi (o meglio questa notte): ho sognato di essere assunta dall’azienda (fondata nel sogno da un mio attuale collega peraltro) con il ruolo di responsabile (evviva :-)!) di una qualche area. Dopo l’iniziale eccitazione per la nuova esperienza lavorativa e il nuovo ruolo, mi rendevo conto che, per quanto di responsabilità, il lavoro era piuttosto ripetitivo e cominciavo a rimpiangere il mio ruolo precedente (ovvero il mio attuale!) che, benché molto faticoso, riconoscevo anche nel sogno essere sempre nuovo e vario, capace di insegnarmi sempre cose nuove.

Che robe!

Carriera, Consigli di lavoro, Leadership, Sviluppo personale

Per fare il capo ci vuole tempo

Un capo troppo operativo difficilmente potrà fare bene il suo lavoro. Il buon capo deve controllare che le attività richieste siano fatte, bene, entro le tempistiche stabilite, sollecitare quando necessario, riadattare timing e carichi di lavoro se serve, farsi approvare i progetti e sbloccare le autorizzazioni, migliorare i processi, cercare nuove opportunità per la propria area, motivare e far crescere i collaboratori, e probabilmente molte altre cose.

Tutte queste cose richiedono tempo – anche solo per fare il punto su dove si era rimasti (alla faccia dell’adagio “il capo non ha un ca**o da fare”). Un capo che è fin troppo impegnato a svolgere lui stesso in prima persona una serie di incarichi operativi – perché non ha abbastanza persone o le persone che ha non sono ancora pronte a farsene carico – avrà difficoltà a far fronte alle vere incombenze del proprio ruolo, quelle peraltro che qualificano il suo lavoro e per le quali non è (non dovrebbe essere) sostituibile dagli altri.

Per questo credo che, se si vuole crescere professionalmente, una cosa essenziale sia imparare, per quanto possibile, a staccarsi dall’operatività: imparare a fare (bene) una cosa, apportarvi miglioramenti in modo da farla meglio e più rapidamente, insegnare agli altri a farla e poi passare avanti, senza rimpianti per non occuparsi più di una cosa che piaceva fare e in cui magari si riusciva bene, e piuttosto aprirsi a nuovi “orizzonti” e nuove sfide (vabbè si tratta di un termine super inflazionato nel linguaggio aziendale, ma in questo caso è particolarmente calzante), mantenendo la mente curiosa e aperta. E logicamente premunendosi di formare gli altri nei periodi non di superlavoro (quando tenersi troppi lavori per sé comporta dei rischi non trascurabili).

Non facile da farsi per chi tende ad affezionarsi molto ai lavori che svolge…

Bye,
Giulia