Lavoro, Sviluppo personale

Quando disorganizzato è bello: andare a lavorare dove si può imparare

A volte lavorare in contesti disorganizzati può aiutare in termini di crescita professionale. Paradossalmente infatti chi lavora in organizzazioni meno strutturate si trova più facilmente nelle condizioni di sviluppare comprensione e visione d’insieme delle attività che si intersecano con quelle che è chiamato a svolgere, nonché flessibilità e rapidità di apprendimento. Capacità queste molto importanti per crescere sul lavoro.

Sviluppare queste abilità in ambienti poco strutturati concretamente può significare, nel migliore dei casi, sostituire chi si occupa di una determinata attività perché magari è troppo oberato o, nel peggiore, doversi occupare per la prima volta di un’attività di cui non si sa magari nulla perché nessuno prima in azienda ne aveva avuto bisogno.

Al contrario, svolgere un lavoro più strutturato, e magari ripetitivo, anche se ci consente magari di diventare bravissimi a farlo, rischia di essere limitante in termini di crescita professionale.

Questa è stata la rivelazione, piuttosto comica vista la dinamica, che ho avuto oggi (o meglio questa notte): ho sognato di essere assunta dall’azienda (fondata nel sogno da un mio attuale collega peraltro) con il ruolo di responsabile (evviva :-)!) di una qualche area. Dopo l’iniziale eccitazione per la nuova esperienza lavorativa e il nuovo ruolo, mi rendevo conto che, per quanto di responsabilità, il lavoro era piuttosto ripetitivo e cominciavo a rimpiangere il mio ruolo precedente (ovvero il mio attuale!) che, benché molto faticoso, riconoscevo anche nel sogno essere sempre nuovo e vario, capace di insegnarmi sempre cose nuove.

Che robe!

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Per fare il capo ci vuole tempo

Un capo troppo operativo difficilmente potrà fare bene il suo lavoro. Il buon capo deve controllare che le attività richieste siano fatte, bene, entro le tempistiche stabilite, sollecitare quando necessario, riadattare timing e carichi di lavoro se serve, farsi approvare i progetti e sbloccare le autorizzazioni, migliorare i processi, cercare nuove opportunità per la propria area, motivare e far crescere i collaboratori, e probabilmente molte altre cose.

Tutte queste cose richiedono tempo – anche solo per fare il punto su dove si era rimasti (alla faccia dell’adagio “il capo non ha un ca**o da fare”). Un capo che è fin troppo impegnato a svolgere lui stesso in prima persona una serie di incarichi operativi – perché non ha abbastanza persone o le persone che ha non sono ancora pronte a farsene carico – avrà difficoltà a far fronte alle vere incombenze del proprio ruolo, quelle peraltro che qualificano il suo lavoro e per le quali non è (non dovrebbe essere) sostituibile dagli altri.

Per questo credo che, se si vuole crescere professionalmente, una cosa essenziale sia imparare, per quanto possibile, a staccarsi dall’operatività: imparare a fare (bene) una cosa, apportarvi miglioramenti in modo da farla meglio e più rapidamente, insegnare agli altri a farla e poi passare avanti, senza rimpianti per non occuparsi più di una cosa che piaceva fare e in cui magari si riusciva bene, e piuttosto aprirsi a nuovi “orizzonti” e nuove sfide (vabbè si tratta di un termine super inflazionato nel linguaggio aziendale, ma in questo caso è particolarmente calzante), mantenendo la mente curiosa e aperta. E logicamente premunendosi di formare gli altri nei periodi non di superlavoro (quando tenersi troppi lavori per sé comporta dei rischi non trascurabili).

Non facile da farsi per chi tende ad affezionarsi molto ai lavori che svolge…

Bye,
Giulia