Consigli di lavoro, Lavoro, Vita in ufficio

L’importanza di lasciare un’impressione forte

A volte lasciare un’impressione forte è più importante che sembrare persone intelligenti o garbate. E a volte questo passa per delle modalità insolite, di cui bisogna però essere consapevoli se si vuol fare bene il proprio lavoro.

L’ultimo giorno di fiera, si presenta al nostro stand una giovane donna che vuole venderci uno spazio analogo per la successiva edizione del salone. Il mio collega, fin allora tranquillo, dopo non molto comincia a fare il gigione e a porre alla ragazza domande decisamente indiscrete. Non che lei non ci stia comunque. Fatto sta che, visto che allo stand offrivamo anche spritz, mi viene praticamente il dubbio che tra stanchezza e bicchieri il mio collega sia ubriaco e cerco di smorzarne il tono. Le spieghiamo bene superficie e posizione dello spazio che vogliamo, riempiamo le carte per la manifestazione di interesse e salutiamo la donna. A quel punto lui torna normale e mi spiega candidamente che almeno, così facendo, lei si ricorderà molto più facilmente di noi e quando si tratterà di assegnare quello spazio e quella posizione le verrà in mente una persona con cui ha riso e ha condiviso qualche momento piuttosto che un freddo modulo di manifestazione d’interesse. E chi avrà più probabilità di ricevere quello spazio?

E in effetti ho dovuto decisamente dargli ragione. In certi contesti,  mantenersi professionali può risultare freddo e alla fine dei conti poco efficace, è importante sapersi comportare in modo flessibile e adattarsi ai contesti. Cercare di lasciare un’impressione forte non è solo il mestiere dei commerciali o dei candidati ad un posto di lavoro e certamente è appannaggio solo di chi ha un carattere particolarmente estroverso.

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L’importanza del fattore umano e sociale sul lavoro

Quante cose lavorativamente importanti si riescono a sbrogliare in un momento di scambio rilassato alla macchinetta del caffè, passeggiando per andare in mensa, in mensa (anche se sarebbe meglio di no) o semplicemente nel semi-cazzeggio che segue la conclusione di un evento impegnativo? Insomma, in tutti quei contesti in cui gli aspetti umano e sociale prevalgono su quello strettamente professionale ma non possono farci dimenticare di essere colleghi, cliente-fornitore o partners? Tantissimi!

È una cosa risaputa, ma oggi alla fine di un evento, mentre aspettavamo che gli ultimi ospiti uscissero, ne ho avuto una solida conferma nonché tre ottimi esempi di questioni lavorative affrontate.

Innanzitutto, ho avuto modo di chiacchierare con una collega con la quale, stando lei in una sede distaccata, non c’è spesso altro modo di sentirsi che il telefono e proprio per questo ci parliamo in generale davvero poco, per quanto lei sia molto importante per la gestione di alcune categorie di ospiti durante gli eventi. Chiacchierando amenamente di quanto fosse stata bella la mostra, brava la guida e buona la tartina che stavo cercando di mangiare, l’ho aggiornata della volontà del nostro ufficio di elaborare una nuova procedura per gli eventi che semplifichi la vita a tutti e lei si è detta assolutamente interessata. Non che questo significhi “quando sarà il momento, dimmelo e ti darò sicuramente una mano”, ma quando avrò bisogno del suo supporto potrò far riferimento a quella chiacchierata e ricordarle il suo feedback positivo e sarà un’ottima base di partenza.

Secondo esempio: io e il mio nuovo capo chiacchieriamo simpaticamente con l’account manager del fornitore di eventi che ci ha seguiti per l’iniziativa di oggi. Tra gli “evviva è andato tutto bene”, il “quanto male fanno queste scarpe a starci in piedi per 3 ore!” e i “che afa c’era oggi a Milano!”, il mio capo gli ha praticamente infilato un brief per un evento che dobbiamo avviare per dicembre (siamo a inizio maggio!) e qualche feedback operativo per l’evento che abbiamo a giugno. Certamente nulla di paragonabile a brief e debrief scritti ma sicuramente qualcosa di più rapido che scrivere una mail o un brief completo (chissà quando l’avremmo fatto! dubito prima di metà giugno) e qualcosa di fronte a cui il fornitore non potrà dirci con faccia pulita “ah cavolo, non è mica pronta la proposta per quell’evento, mica lo sapevamo!”. Ci siamo portati avanti con il lavoro con ben poca fatica!

Terzo esempio: dopo che il mio nuovo capo se n’è andato, sono rimasta a chiacchierare con l’Account Manager di cui sopra, che in pratica mi ha raccontato un pezzo della sua vita, l’intera struttura dell’agenzia e i criteri con cui sceglie i collaboratori per un progetto. Nessun segreto segretissimo, ma tutti elementi che da un punto di vista umano, e anche operativo, mi aiuteranno a lavorare meglio con lei e con questo fornitore in generale.

E da tutto questo mi è tornata in mente una mia cara amica, laureata in una prestigiosa università di economia, che ripensando alla sua carriera accademica diceva: All’università insegnano a raggiungere il risultato a tutti i costi, tenendo conto di mille difficoltà “oggettive”, ma tralasciando spesso il fattore umano, che può essere invece un’importante leva per raggiungere più rapidamente i risultati o al contrario per ostacolarli ulteriormente.

Bye,
Giulia