Consigli di lavoro, Gestione dello stress, Lavoro, Vita in ufficio

Tecniche di sopravvivenza sul lavoro – parte I

Qualche consiglio di sopravvivenza in ufficio che non guasta mai:

1- precedi i bisogni del tuo capo: con la sua segreteria, fissa una riunione con il tuo grande capo prima che lui/lei venga a reclamare a che punto è quel tal progetto: quando arriva puoi premurosamente dirgli “infatti, ho fissato a quell’ora così ne possiamo parlare con (la dovuta) calma”. Così a quell’ora sarai pronto e il capo non potrà farti troppo la sciampata che non sei pronto!

2- non aspettare l’ultimo minuto per dire che hai bisogno di una mano: se sei in difficoltà, alza per tempo e ben in alto la bandierina per chiedere aiuto e verifica che i tuoi capi abbiano capito che è urgente! a volte anche se lo spieghi chiaro, non ne realizzano la gravità. Magari se un tuo progetto non procede perché qualcuno non collabora, il tuo capo potrà indire una riunione interfunzionale di avanzamento o strigliare un fornitore che non collabora.

E detto questo… buona fortuna!

Ciao,
Giulia

Consigli di lavoro, Gestione dello stress, Lavoro, Leadership, Vita in ufficio

L’arte del distacco: cosa si impara dalle urlate del capo

Quando tutto sembra perduto, l’unica cosa da fare è mantenere lucidità, sangue freddo e quel sano distacco. E ci accorgeremmo così che tutto si può risolvere, probabilmente anche con meno fatica e drammi di quello che si pensava. Questo è tanto più vero sul lavoro dove – a meno di incidenti in cui qualcuno può rimanere ferito o peggio -, se qualcosa non funziona o anche un intero progetto si rivela una ciofeca, non muore nessuno, cosa che invece accade in molti altri contesti, come spesso ci racconta la cronaca.

Ecco cosa ho capito oggi! L’invito per il nostro mega evento di Parigi è in stampa, deve esserci consegnato con salti mortali dopodomani, e già siamo in super ritardo per le spedizioni, e cosa succede oggi? il nuovo capo della mia capa si fa venire la grandissima idea (salvifica dopotutto) di mostrare alla grande capa come effettivamente verrebbe fuori l’invito stampato. Cosa che si fa assolutamente sempre, e ben prima di dover mandare in stampa, ma a cui questa volta avevamo dovuto sopperire con degli scambi di file e ok via mail, dato che eravamo già strettissimi con i tempi e la grande capa non era in sede nei giorni immediatamente prima dell’ok si stampi. Ebbene? L’invito fa schifo, bisogna rifare tutto. Le prospetto che così gli inviti superfighi come li vuole lei arriveranno stampati non prima di 10 giorni (1° maggio, sabato e domenica inclusi), lei li vuole al massimo tra 6 giorni (1° maggio, sabato e domenica inclusi anche qui). Che fare? il suicidio non è contemplato.

Torno in ufficio frustrata e abbattutissima, con voce rotta spiego ai colleghi l’accaduto e blocchiamo le stampe. Lo stampatore poi non può neanche stare al telefono più di tanto, rinviamo la call al pomeriggio. È ora di andare a mangiare, colleghi di altri uffici ci invitano, e io non ho ancora chiamato l’agenzia che ci fa il bozzetto di stampa per comunicarle le modifiche da fare. Sono davvero distrutta, non ce la faremo mai mi dico, ma mando tutto a quel paese e vado a mangiare anch’io.

Risultato? Pranzando e chiacchierando mi rilasso, metto le cose in prospettiva, mi rendo conto che non è morto nessuno (!) e tornando dalla mensa chiamo l’agenzia per le modifiche. Nel pomeriggio viene lo stampatore, decidiamo con la grande capa i materiali più fighi da usare, arrivano i bozzetti corretti e….sarà tutto pronto per il giorno richiesto!

Incrociamo le dita e facciamo finta di non sapere cosa tutto ciò verrà a costare, ma la cosa si è risolta e nel pomeriggio ho avuto la lucidità di fare tutte le altre mille cose che dovevo svangare. Avessi saltato il pranzo come, nella mia agitazione, ero convinta di dover assolutamente fare, sarei rimasta con l’ansia tutto il giorno e non avrei combinato un tubo.

Direi che è stata davvero una lezione importante: grazie grande capa per la tua sfuriata ;-)!

L’unico problema è che non è davvero facile riuscire a prendersi il giusto distacco per fermarsi un attimo e mettere le cose nel loro giusto ordine. Ma è una capacità assolutamente necessaria se si vuole gestire progetti complessi.

Bye bye,
Giulia

Carriera, Lavoro, Leadership, Obiettivi, Vita in ufficio

Fare il capo: cosa spaventa?

Conoscere le proprie paure aiuta ad affrontarle. Come discusso nell’omonimo post, voglio diventare un capo che non urla. Ma cosa mi spaventa soprattutto del fare il capo? (per non parlare del diventarlo, ma penso che a questo dedicherò un post apposito.)

Non potersi prendere “giornate no”, in cui non hai voglia di fare un tubo, di dar retta a nessuno, di muovere un dito o di pensare un pochino. Ecco cosa mi fa paura. Non che me ne prenda veramente di giornate così, ma sapere di non potersele proprio permettere, mi spaventa parecchio e mi fa dubitare di potercela fare!

I collaboratori devono sapere razionalmente, e anche sentire emotivamente, che possono sempre contare sul proprio capo (logicamente per le cose di cui hanno veramente bisogno, non per quelle che possono risolversi da soli) e che il proprio capo ce la fa a fare il proprio lavoro (anche, e in misura determinante, grazie al loro di lavoro). Vedo capi che non assicurano né una cosa né l’altra e non li considero buoni capi, né vedo che i loro collaboratori lavorano bene.

Chi fa il capo deve guadagnarsi e mantenersi la fiducia e il rispetto delle proprie persone e deve sempre tenere a mente che da lui/lei dipende una buona fetta del benessere psico-sociale (e a volte anche fisico) di un certo numero di esseri umani. Mica poca come responsabilità (non capisco proprio certi capi che urlano come ossessi contro i collaboratori)! E non puoi più tirarti indietro da queste responsabilità, non puoi dire “e che volete da me, mica pensavo fare il capo fosse ‘sta scocciatura! “. Certo, i collaboratori sanno che un capo è anch’egli/lei un essere umano e non un super eroe, ma certe debolezze non può proprio concedersele con leggerezza.

A volte penso che personalmente finirei anche per considerare le mie persone e il mio team come una famiglia e questo potrebbe portarmi a dedicare al lavoro più cura e dedizione del necessario e metterlo quindi in potenziale conflitto con la cura, la dedizione (e il tempo!) che dedicherei alla mia vera famiglia. Oltre al rischio di ingenerare strane gelosie tra il mio lavoro e il mio ragazzo. E anche questo mi mette una certa inquietudine.

E a voi cosa spaventa di più nel fare il capo :-)?

Ciao,
Giulia

Consigli di lavoro, Lavoro, Vita in ufficio

La scrivania dell’Amministratore Delegato

Hai mai visto la scrivania dell’Amministratore Delegato? chiede il mio capo, esasperato davanti al caos che c’è sulla mia, scrivania. Sì, è vuota. Gli rispondo io. Appunto, fa una cosa e la mette via, e se trova tempo lui che è l’Amministratore Delegato! rimarca.

E già, questa è una bella lezione! Vado matta per l’ordine ma lavoro in comunicazione e tra bozzetti, mock up, proposte, preventivi e contratti di almeno 5 progetti alla volta non trovo mai il tempo di mettere a posto le cose, e affogo!
Ed è proprio questo il problema: affogare nelle cose operative significa non riuscire a creare lo spazio, fisico e mentale, per vedere il quadro generale.

Viva le lezioni che ci impartiscono le scrivanie allora ;-)!

Gestione delle persone, Leadership, Vita in ufficio

Capi diversi, diversi stili di management

Prendere furiosamente nota durante le riunioni o far prendere appunti ai propri collaboratori? Fissare riunioni per discutere di un tema in modo strutturato o parlarne tranquillamente spaparanzati su una sedia?

Il mio capo ha da poco un capo in più, quindi anch’io ho un capo in più da cui prendere ispirazione (oltre che lavori da svolgere….). In questi giorni ho avuto occasione di andare da sola con questo nuovo capo a riunioni con la nostra “grande capa” o con altri dirigenti e ho notato numerose differenze nel suo modo di comportarsi rispetto a quello della mia capa diretta. Food for thought, in buona sostanza.

Il primo caso: discutiamo di invito e lista di invitati per un importante evento con la “grande capa”; la mia capa è in trasferta e viene con me il nuovo capo. La grande capa parla, io prendo appunti, il mio capo no, fa domande alla grande capa per verificare di aver capito bene, si rivolge a me e si sincera che abbia preso nota delle cose più importanti e se ho dei dubbi, vedo che la grande capa guarda e si rivolge soprattutto a me sottolineando cosa c’è da fare. A tutti è chiaro che quelle cose le farò io e che il capo si sincererà che io le abbia fatte. A volte prende spunto da una parola o da un nome fatto dalla grande capa per chiederle cose abbastanza slegate dal tema della riunione, ma vedo che la grande capa apprezza la pausa e si dilunga a spiegare quello che pensa.
Con la mia capa invece siamo sempre in due a prendere appunti, anche se io sicuramente più di lei, e quando usciamo dalle riunioni non mi è mai chiaro quello che devo fare io o quello che vuole fare lei. Potremmo banalmente dircelo non appena finita la riunione, ma spesso non c’è già più tempo e, prima di poter fare il punto, veniamo travolte da altre questioni.

Secondo caso, oggi: la mia capa sta facendo un sopralluogo e io devo rapidamente girare la nuova versione di invito, appena arrivata, alla grande capa (sempre per l’evento di sopra) e prima di farlo devo verificare alcune cose con un responsabile. Non ho ancora capito se il nuovo capo preferisce essere avvisato per telefono quando ho bisogno di lui o vada io direttamente nel suo ufficio (è il caso che glielo chieda prima o poi!). Ebbene opto per la seconda opzione e capito nel suo ufficio mentre, spaparanzato sulla sedia, sta parlando con un altro dirigente della nostra direzione, ugualmente spaparanzato sulla sedia difronte. Faccio cenno che torno dopo ma il nuovo capo fa segno di sedere anche a me. Stanno discutendo in modo rilassato di un progetto piuttosto importante che stiamo mettendo in piedi. E discutono pure di elementi rilevanti e abbastanza controversi, come le tempistiche generali e la data di inizio – punti sui quali fino a poco tempo fa la mia capa e quest’altro dirigente ci mancava poco che litigassero. Decidono e se ne vanno tranquilli.
La mia capa invece odia che qualcuno capiti nel suo ufficio e la interrompa per fare quattro chiacchiere informali su un tema e preferisce di gran lunga fare riunioni strutturate.
Si tratta di due stili di management radicalmente diversi o semplicemente del frutto di preferenze e circostanze? e della diversa mole di lavoro sui tavoli e quindi della diversa possibilità di ritagliarsi dei momenti di riflessione?

Utili differenze da osservare e su cui pensare!

Carriera, Leadership, Obiettivi

Come diventare un capo che non urla? bozza di roadmap

Dopo averlo celebrato nel post “Obiettivi per i 40 anni: diventare un capo che non urla” è il caso di cominciare a pensare a come realizzare concretamente questo obiettivo.

Alcuni appunti:
1) diventare più brava a delegare. Potrei cominciare iniziando ad avere più fiducia nelle capacità delle altre persone e limitandomi alla fase di controllo;
2) essere più consapevole e concentrata sul vero risultato da conseguire attraverso un progetto, in modo da acquisire distacco dall’operatività quotidiana e poter delegare di più;
3) migliorare in generale le mie capacità di comunicazione, diventando più impattante, incisiva e confidente nei miei rapporti con gli altri. Qua qualche libro di comunicazione interpersonale e leadership può tornare molto utile;
4) trovare e adottare un mio stile comunicativo unico rispetto ai miei diversi interlocutori, che mi faccia sentire a mio agio e mi renda credibile;
5) curare e sviluppare in particolare i rapporti con i miei pari in azienda e nelle aziende clienti, tra qualche anno potrebbero essere persone che contano;
6) rendere l’aggiornamento professionale una componente quotidiana della mia giornata, devo conoscere piuttosto bene in che direzione gira il mondo in cui lavoro;
7) non esitare a chiedere al mio capo informazioni su come lavorare meglio e meglio rapportarsi con gli interlocutori, sarebbe stupido non avvalersi dell’esperienza altrui.

Mmmm, credo di avere un bel po’ su cui lavorare!

Ciao,
Giulia

Consigli di lavoro, Gestione delle persone, Leadership

L’importanza di delegare? poter mangiare il pranzo con la dovuta calma

Saper delegare è importantissimo per poter elevare il proprio lavoro, lo dice qualsiasi manuale di management, figuriamoci di leadership. Ebbene, domenica l’ho imparato in maniera ancora più convincente!

Mi occupo anche di eventi, motivo per cui lavorare di domenica, dopo un’intera settimana di lavoro, non è purtroppo una cosa troppo peregrina. Per la prima volta mi sono trovata a dover gestire da sola, come azienda cliente, lo svolgimento sul campo di un evento di medie dimensioni. Mi sono resa conto di diverse cose, delle quali ero perfettamente a conoscenza, ma di cui così mi sono convinta ancora di più:

1) in tutti i contesti c’è bisogno di qualcuno che prenda le decisioni;
2) deve essere chiaro a tutti chi prende le decisioni;
3) chi deve prendere le decisioni deve fin da subito porsi come la persona “in charge” di fronte ai diversi interlocutori con cui avrà a che fare;
4) chi deve prendere le decisioni, non deve avere paura di prenderle, giuste o sbagliate che siano, l’importante è prenderle, per quanto paradossale possa sembrare;
5) quando c’è da trattare con esterni (in questo caso gli ospiti dell’attrazione), serve sempre qualcuno che faccia il “cattivo” della situazione – ovvero qualcuno diverso dal “front end”, che appaia appunto come la persona veramente “in charge” della situazione, a cui gli esterni possano appellarsi per far sentire le proprie ragioni ma alle cui valutazioni sentano poi di doversi in definitiva adeguare;
6) la persona “in charge” deve distribuire tutti gli incarichi che può delegare, per poter essere abbastanza fresca da svolgere i compiti che non può demandare. Pensare di svolgere tutto da soli è davvero una grande stupidaggine, non solo perché è umanamente impossible ma anche perché significa – dopotutto – non avere fiducia in quello che gli altri possono fare. La cosa peggiore è che, avendo delle persone a disposizione ma non impiegandole, si finisce per comunicare loro questa mancanza di fiducia e, alla fine dei conti, demotivarle a dimostrare il contrario.
7) la persona “in charge” deve avere chiari gli obiettivi e i bisogni della situazione: in questo modo sarà decisamente più incisiva nelle sue richieste, perché sarà più convinta e in grado di comunicare con più facilità agli altri la necessità di queste azioni.

In sostanza cos’è successo? Non ho comunicato con incisività alle persone che coordinavo che almeno una doveva andare a mangiare prima delle altre, così da averne almeno una a presidiare l’attrazione durante la pausa pranzo generale. Perché non l’ho fatto? Perché avevo fatto troppa roba in precedenza e non ero abbastanza lucida da rendermi conto – e comunicare loro – che qualcuno doveva comunque restare attorno alla struttura. Risultato? sono dovuta correre al primo bar vicino aperto (era domenica), comprare due mini panini e mangiarli di corsa mentre facevo io la guardia alla struttura, non riposandomi e iniziando quindi il pomeriggio più stanca di prima e comunque come persona “in charge”.

Che fatica! evitabilissima la prossima volta :-)!

Ciao,
Giulia

Consigli di lavoro, Vita in ufficio

Consigli di lavoro: se devi incontrare un direttore…

Se incontri un direttore, verifica come prima cosa che abbia capito perché sei lì e abbia chiaro il quadro generale in cui si inserisce quello che gli stai chiedendo.

Oggi ho avuto l’occasione di incontrare a tu per tu uno dei direttori di una nostra consociata per discutere insieme la lista di invitati per un evento. Logicamente mi ero preparata cosa dire ed ero convinta di aver inquadrato la questione ad un livello abbastanza ampio, ma mi sono rapidamente resa conto che sapeva solo la città e il mese in cui si sarebbe svolto il tutto. E ho dovuto ricominciare a spiegare tutto da capo, facendo perdere tempo a entrambi.

Quindi lezione per la prossima volta: con domande generiche capire il livello di conoscenza che l’interlocutore ha del tema, lasciandogli lo spazio per fare domande fin da subito. Poi, accertandosi che abbia capito, verificare che abbia ben chiaro di cosa si ha bisogno e a cosa serve. Utilizzare come base delle note di progetto, e magari anche consegnarle, è un ottimo modo per fare rapidamente il punto.

Consigli di lavoro, Vita in ufficio

Consigli di lavoro: scrivi note di progetto ampliabili e adattabili a tutti gli interlocutori

Cos’è c’è di più difficile in un progetto complesso che tenere insieme tutti i pezzi? Quante mail e note bisogna scrivere per tenere tutti gli interlocutori allineati sugli obiettivi e contenuti del progetto e verificare che siano informati del proseguio delle diverse fasi?

E scrivere note e mail riepilogative è un’attività che porta sempre via un bel po’ di tempo, soprattutto se ogni volta bisogna ricostruire i diversi elementi del progetto da fonti e supporti diversi. A fronte di questa bella fregatura mi sono resa conto che c’è solo una cosa che aiuta a semplificarsi la vita: predisporre, fin dall’inizio del progetto – quando c’è anche meno materiale da raccogliere -, una nota che racconti obiettivi, budget, contenuti e macro-fasi del progetto. Questa nota, una volta condivisa e approvata da tutti i partecipanti del progetto, verrà gradualmente arricchita e chiarita man mano che il progetto prende vita; la nota stessa, o parti e adattamenti di essa, verranno poi di nuovo condivisi e verificati con i partecipanti o anche con esterni.

Ne deriva un documento strutturato e flessibile che permette rapidamente di fare il punto – senza doversi ogni volta rimettere a scrivere da capo – e di allineare diversi soggetti, tanto più che, essendo condivisa, nessuno potrà più dire “ma io non lo sapevo!”.

Per coordinarsi e a rispettare le scadenze ci sono certamente diagrammi di Gantt e le timing più varie, ma spesso il vero ostacolo alla realizzazione di un progetto sta ad un livello più alto, nella scarsa condivisione delle sue finalità. Quante volte succede che a progetto già ben avviato – magari ad una riunione di avanzamento – uno dei partecipanti esclami “Allora è qui che volevate andare a parare? Non se ne parla neanche, a me non va bene.” e ne segua sfiducia e sospetto? A volte gli scontri nascono perché ogni unità coinvolta ha obiettivi diversi per quel progetto e da per scontato che gli altri ne siano consapevoli, o non si rende conto pienamente di certe conseguenze o complicazioni.

Condividere obiettivi e contenuti è quindi fondamentale, ma non si può neanche passare la vita a scrivere recap!

Redigere una nota che si arricchisce man mano che si sviluppa il progetto e viene adattata ai diversi interlocutori è in assoluto la soluzione che ho trovato più efficiente. Anche per verificare che il progetto stia rispondendo effettivamente a quanto ci si era prefissati!

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Il buon capo: caratteristiche – parte I

Come fa un buon capo a creare un clima di serenità in cui i suoi collaboratori possono lavorare bene? È la domanda che mi facevo nel post omonimo e a cui ora provo a dare una risposta attraverso le osservazioni che ho fatto questi giorni. E altre ne seguiranno :-).

Un buon capo indice riunioni interfunzionali di avanzamento su progetti complessi con le unità che non collaborano. Ci sono sempre un sacco di progetti trasversali a diverse funzioni aziendali che non vanno avanti perché le altre unità non se ne occupano come dovrebbero: purtroppo è normale
visto che diverse unità hanno diverse priorità. Invece di sollecitare via mail o telefono gli interlocutori e di ricriminare che qualcuno non fa il proprio lavoro, il buon capo inchioda i “negligenti” in riunioni di avanzamento in cui si spiega bene cosa e quando ci si aspetta da loro, in modo da poterli incastrare su un timing condiviso se poi non danno seguito. Non ci si può difendere dall’accusa di non aver portato a termine un progetto dicendo che è colpa degli altri che non lavorano!

Un buon capo è capace di (e disponibile a) strigliare con decisione i fornitori se, nonostante le ripetute richieste dei suoi collaboratori, non producono quanto richiesto con le modalità stabilite. I collaboratori devono fare tutto quanto possibile per farglielo fare, ma a volte è necessario fare escalation: i progetti non possono bloccarsi perché i fornitori non lavorano – perché magari hanno altre priorità -; se gli operativi non collaborano, il proprio capo deve farsi sentire con i loro capi e mettere le cose in chiaro. Sentirsi in soggezione a chiedere al proprio capo di intervenire può essere molto controproducente per tutti!

Un buon capo considera i suoi collaboratori come degli stakeholders a tutti gli effetti: si preoccupa di far capire loro che ha compreso quello che gli/le chiedono e di tenerne conto, anche se poi ha diritto ad avere l’ultima parola. Mi sono trovata troppo spesso a dire ai miei precedenti capi che non potevo essere presente ad una riunione perché ne avevo già un’altra in contemporanea e non ricevere nemmeno una risposta, che sarebbe equivalsa almeno ad una presa in considerazione.